Nella schizofrenia precoce
identificati geni hub quali biomarker immunorelati
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XXII – 25 gennaio
2025.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La schizofrenia ad esordio precoce, che a rigore di storia
nosografica rappresenta la prima forma della psicosi descritta in uno studente
come demenza
praecox da Emil Kraepelin, emerge clinicamente
tra i 13 e i 17 anni ed evolve più spesso con una prevalenza di sintomi
cognitivi e sintomi negativi, rispetto alle forme ad esordio in età adulta,
dominate da deliri e allucinazioni.
Numerosi
studi hanno dimostrato un’ampia connessione tra deregolazione immune e sistema
nervoso centrale nella schizofrenia ad esordio precoce, ma gli esatti
meccanismi biologici responsabili dei processi patogenetici della psicosi non
sono stati ancora identificati.
Shasha Wu e collaboratori hanno posto in essere un progetto
sperimentale per definire i processi responsabili delle manifestazioni
cliniche. In particolare, lo studio ha impiegato l’analisi dell’infiltrazione
immune e la bioinformatica per rivelare i meccanismi patogenetici e
identificare potenziali biomarker diagnostici per più specifici
interventi terapeutici.
(Wu
S. et al., Comprehensive bioinformatics analysis identifies hub genes
associated with immune cell infiltration in early-onset schizophrenia. BMC Psychiatry 25 (1): 55,
2025 – Epub ahead of print doi: 10.1186/s12888-025-06499-8, 2025).
La provenienza degli autori
è la seguente: Department of Psychiatry, Shanxi
Bethune Hospital, Shanxi Academy of Medical Sciences, Tongji Shanxi Hospital,
Third Hospital of Shanxi Medical University, Taiyuan (Cina); Tongji Hospital,
Tongji Medical College, Huazhong University of Science and Technology, Wuhan
(Cina); Department of Psychology, School of Humanities and Social Sciences,
Shanxi Medical University, Taiyuan, Shanxi (Cina); Third Hospital of Shanxi
Medical University, Shanxi Bethune Hospital, Shanxi Academy of Medical Science,
Tongji Shanxi Hospital, Taiyuan (Cina); Department of Pharmacy, Shanxi Medical University,
Taiyuan (Cina); Academy of Medical Sciences, Shanxi Medical University, Taiyuan
(Cina); The Fifth Hospital of Shanxi Medical University, The Fifth Clinical
Medical College of Shanxi Medical University, Shanxi Provincial People's
Hospital, Taiyuan (Cina).
Come abbiamo
fatto altre volte lo scorso anno[1]/[2], cogliamo l’occasione di questa recensione, sia per
introdurre il lettore non specialista agli aspetti essenziali della clinica e
della neuropatologia, sia per integrare queste nozioni con alcuni aggiornamenti
non ancora inclusi nei manuali di clinica psichiatrica. Parte dei brani
riportati di seguito sono stati citati in Note e Notizie 09-03-24
Infiammazione nella patogenesi della schizofrenia; mentre si è scelto di
non riportare gli aggiornamenti di genetica più recenti, per i quali si rimanda
a due studi presentati nell’aprile dello scorso anno[3]; più avanti, in questo testo, si danno le indicazioni
per introdursi alla genetica e alla genomica della schizofrenia.
“L’approccio
clinico alla schizofrenia o psicosi schizofrenica prevede la
ripartizione delle manifestazioni in tre gruppi di segni e sintomi: positivi,
negativi e cognitivi. I sintomi positivi, ovvero produttivi,
e in particolare deliri e allucinazioni, sono i più sensibili ai trattamenti con
farmaci antipsicotici. Al contrario, i sintomi negativi, espressione di
deficit funzionali, quali povertà di linguaggio, negativismo, anedonia,
anaffettività, perdita di motivazione e riduzione della reattività emozionale,
insieme con un deficit cognitivo progressivo, sono i più resistenti al
trattamento, in quanto non possono giovarsi dell’effetto dei farmaci
attualmente in uso, che tendono a ridurre l’eccesso funzionale dopaminergico o
a riequilibrare altri neurotrasmettitori, ma non possono surrogare funzioni
deficitarie”[4]. Le basi neurofunzionali dei sintomi al livello di
sistemi neuronici sono studiate mediante fMRI, riportando le funzioni alterate
alle tre reti cerebrali principali: DMN (default mode
network), CEN (central executive
network), SN (salience network); ma questo tipo di studi ha evidenziato alterazioni in tutte e
tre le reti e nelle loro interazioni in tutti i casi di schizofrenia.
Chi voglia
introdursi alla neurobiologia del disturbo può leggere: Note e Notizie
16-09-23 Appunti di neurobiologia della schizofrenia; per la genetica: Note
e Notizie 23-09-23 Appunti di genetica della schizofrenia; Note e
Notizie 21-10-23 Genomica della schizofrenia e sue implicazioni.
A
proposito della patogenesi: “La patogenesi della schizofrenia rimane ancora
indefinita, nonostante si siano acquisite nel campo della fisiopatologia
nozioni estese dall’ambito neurochimico a quello strutturale, dal livello
sinaptico a quello delle grandi reti neuroniche dell’encefalo. La stessa
genetica che, dal tempo delle analisi di associazione del Psychiatric GWAS
Consortium Coordinating Committee (2009) si è
arricchita di una quantità enorme di dati sui geni di rischio, non ha fornito
le indicazioni dalle quali si sperava di ricavare la ratio di processi
paradigmatici per l’eziopatogenesi di alterazioni probabilmente eterogenee in
termini molecolari, cellulari e di sistemi neuronici, ma accomunate
clinicamente da alcuni capisaldi sintomatologici.”[5]
Per
inquadrare le nuove nozioni nell’evoluzione della concezione della schizofrenia:
“La schizofrenia, che interessa l’1%
della popolazione mondiale, costituendo una delle maggiori cause di disabilità
mentale, è la più grave delle alterazioni psichiche che accompagnano l’intera
vita di un paziente psichiatrico, dall’esordio in età giovanile o all’inizio
dell’età adulta fino alla morte, di dieci anni più precoce della media nella
popolazione generale. La concettualizzazione di questo disturbo come malattia
delle mente si deve al grande nosografista tedesco Emil Kraepelin che, prendendo
le mosse dal caso di uno studente brillante diventato inabile per i compiti
cognitivi più semplici dopo la comparsa dei sintomi, identificò un piccolo
gruppo di pazienti con un simile decorso caratterizzato dalla perdita
dell’intelligenza e, per questo elemento che gli parve caratterizzante, propose
la definizione diagnostica di demenza praecox.
Era dunque ben presente l’aspetto
relativo al limite cognitivo, poi per decenni trascurato, soprattutto per
l’influenza delle teorie psicodinamiche sulla genesi del disturbo, che
attribuivano a conflitti inconsci lo sviluppo di un funzionamento mentale
aberrante e non all’alterazione del fondamento neurobiologico cerebrale,
necessario anche per i più elementari processi di estrazione di significato dai
messaggi verbali, oltre che per induzione, deduzione, riconoscimento di nessi
di causalità e vincoli condizionali.
Lo stesso Eugen Bleuler[6], che introdusse il termine “schizofrenia” per indicare la frequente
scissione (schizo-) nello psichismo e, in particolare, la separazione
del tono affettivo ed emotivo dalla cognizione espressa nella comunicazione,
aveva ben presente il difetto intellettivo che peggiorava col progredire della
malattia.
A quell’epoca, l’opinione degli
psichiatri era concorde nel ritenere questo quadro psicopatologico la
conseguenza di una malattia del cervello con una forte base genetica, e
caratterizzata da un processo patologico che si supponeva diffuso nel
parenchima cerebrale, con particolare compromissione della corteccia, ritenuta
la base dei processi intellettivi. L’unica possibilità esistente a quel tempo
di studio del cervello consisteva nell’osservazione necroscopica e nel prelievo
autoptico di campioni di tessuto cerebrale, per lo studio istologico.
Gli stessi padri fondatori della
neuropatologia, Nissl, Alzheimer e Spielmeyer, condussero ricerche istologiche post-mortem
sul cervello di pazienti schizofrenici, descrivendo apparenti alterazioni che
si rivelarono incostanti e non caratterizzanti[7]. In particolare, nel 1897 Alzheimer segnalò una scomparsa locale di
cellule gangliari negli strati esterni della corteccia cerebrale; Klippel e
Lhermitte (1906) descrissero zone di demielinizzazione focale, il cui reale
valore di reperto istopatologico fu contestato, molto tempo dopo, da Adolf
Meyer e poi da Wolf e Cowen. Anche Buscaino in Italia (1921), capostipite di
una famiglia di neurologi illustri, compì studi neuropatologici sulla struttura
del cervello schizofrenico, descrivendo formazioni a grappolo, che si
rivelarono poi artefatti di preparazione del tessuto. Josephy (1930) descrisse
una sclerosi cellulare e una degenerazione grassa degli strati corticali, che
non trovarono riscontro in altri studi. Bruetsch, nel 1940, credette
addirittura di aver rinvenuto dei focolai reumatici nell’encefalo psicotico;
sicuro della bontà e significatività del reperto, postulò un ruolo eziologico
per la febbre reumatica.
Nel 1952 Winkelman riscontrò nel
cervello schizofrenico una perdita diffusa di neuroni, ma furono sollevati
dubbi circa la significatività del reperto che si ritenne potesse essere stato
generato dalle procedure istologiche impiegate. Allora, nel 1954, Cécilie e
Oskar Vogt[8], per superare questo problema, allestirono uno studio che prevedeva
un’accurata indagine seriale degli emisferi cerebrali mediante sezioni sottili
dello spessore di 8 μ in uno studio controllato, in cui i reperti
istologici dei cervelli dei pazienti erano comparati con identiche sezioni del
cervello di persone non affette da psicopatologia e decedute per cause non cerebrali
alla stessa età. I Vogt trovarono in tutti i cervelli schizofrenici alterazioni
assenti nei cervelli sani, anche se la localizzazione, l’aspetto istologico e
la densità variavano da un caso all’altro. I tre reperti principali dei Vogt
furono cellule colliquanti (Schwundzellen), degenerazione vacuolare e
liposclerosi.
Negli ultimi decenni, dopo oltre
cinquanta anni durante i quali la concezione neuropatologica della schizofrenia
è stata abbandonata in luogo di teorie eziologiche psicoanalitiche, relazionali
e comportamentali, si è tornati su più solide basi, fornite dalle metodiche di
neuroimmagine, dalla nuova genetica e dalle scoperte di neurobiologia
molecolare e neurochimica, a concepire le psicosi schizofreniche come
conseguenza di alterazioni del cervello[9]. Dalle differenze nel metabolismo cerebrale, nell’espressione dei
recettori, nelle dinamiche sinaptiche, negli equilibri fra sistemi neuronici,
nelle funzioni degli astrociti, fino a quelle emerse dallo studio delle
connessioni secondo i metodi del campo specializzato della connettomica, si
dispone di un’imponente raccolta di dati che individua le basi cerebrali di una
fisiopatologia, che non potrebbe essere spiegata nei termini obsoleti della
‘reazione maggiore’, contrapposta alla ‘reazione minore’ costituita dai
disturbi d’ansia”[10].
In passato
abbiamo affrontato il problema allora emergente dell’alterazione della funzione
talamica nella schizofrenia[11]/[12].
A
proposito dell’aver a lungo trascurato in psichiatria i sintomi cognitivi, in
parte coincidenti con alcuni sintomi negativi della schizofrenia, due anni fa
si osservava:
“La
cultura che voleva caratterizzare anche la distinzione fra la neurologia, come
la branca medica che si occupa di ictus, epilessie, tumori, traumi cerebrali, e
così via, e la psichiatria, che si occupa di ansia, fobie, attacchi di panico,
depressione e disturbi con deliri e allucinazioni, sollecitava l’attenzione sui
sintomi “propriamente psichiatrici” della schizofrenia, perché non si cadesse
nell’errore di considerarla una “demenza precoce” come era accaduto
nell’Ottocento. Probabilmente, questa enfasi eccessiva ha portato a trascurare
per molto tempo la considerazione e lo studio sistematico dell’indebolimento
cognitivo”[13].
In
realtà, nella clinica psichiatrica del disturbo schizofrenico si distinguono sintomi
positivi, quali
deliri e allucinazioni, sintomi negativi,
come l’anaffettività e il negativismo, e sintomi
cognitivi, quali disorganizzazione del pensiero, linguaggio soggettivo o
inappropriato, deficit di attenzione e memoria, senza contare le frequenti
stereotipie di moto.
Per
introdurre alle interpretazioni neuroevolutive dei sintomi della schizofrenia
correntemente adottate dagli psichiatri, mi rifaccio a un articolo del 20 marzo
2021[14]:
“Due anni fa ho ricordato un modello
neuroevolutivo della schizofrenia[15] attualmente oggetto di insegnamento in molte facoltà mediche di tutto il
mondo e proposto per la prima volta da Keshavan nel 1999: durante
l’embriogenesi noxae evolutive
portano alla displasia delle strutture costituenti alcune specifiche reti
neuroniche, causando in tal modo i segni premorbosi cognitivi e psicosociali;
durante l’adolescenza, un’eccessiva eliminazione di sinapsi determina
un’iperattività dopaminergica fasica e precipita la psicosi. Keshavan nota che,
dopo la manifestazione clinica della malattia, le alterazioni neurochimiche
possono condurre a processi neurodegenerativi.
Il motivo del successo di questo
modello è dato dal ‘sostegno’ ricevuto da numerose evidenze sperimentali. In
realtà, si tratta di una ricostruzione ragionevole e coerente con i dati dai
quali è stata desunta, e nulla esclude che sia corretta; tuttavia rimane troppo
generica rispetto all’esigenza di capire perché e come le ‘noxae’
causino una displasia responsabile di quei sintomi precoci e perché si
determini una perdita di sinapsi che causa iperfunzione dopaminergica[16]”[17].
Ritorniamo ora allo studio qui
recensito. Consideriamo
innanzitutto i metodi impiegati nello studio di Shasha Wu e collaboratori. Sono stati reclutati
26 pazienti affetti da schizofrenia a esordio precoce e 27 volontari sani
fungenti da gruppo di controllo, e sono stati raccolti dati da microarray.
Sono stati identificati crossover genes
impiegando l’analisi pesata della rete di co-espressione genica (WGCNA) e
l’analisi differenziale dell’espressione genica (DEG). Questi geni sono stati
sottoposti alle analisi GSEA (genome enrichment analysis) e GO (gene
ontology). I geni “hub” sono stati identificati
attraverso interazioni proteina-proteina e il GeneMANIA database.
Il potenziale
diagnostico dei geni “hub” immunoassociati è stato valutato adottando l’analisi
ROC. L’infiltrazione immune è stata studiata mediante CIBERSORT. I miRNA
regolatori dei geni hub sono stati previsti usando miRNet, e la correlazione
tra mRNA e miRNA è stata analizzata e validata in campioni clinici.
I risultati
ottenuti con questi metodi hanno identificato nei pazienti affetti da
schizofrenia a esordio precoce ben 330 geni rilevanti, bene espressi nelle vie
del sistema immunitario. La selezione dei 10 principali geni “hub” è stata
ottenuta costruendo una rete PPI, e l’analisi mediante GeneMANIA ha consentito
di identificare 4 geni immunoassociati rilevanti per la schizofrenia precoce.
In sintesi: i risultati dimostrano che CCL3, IL1B, CXCL8, CXCL10 e miR-34a-5p
possono essere considerati come dei biomarkers
con ruoli cruciali nei meccanismi associati ai processi immunitari che causano
la schizofrenia giovanile.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-25 gennaio 2025
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La Società Nazionale di Neuroscienze
BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è
registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in
data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione
scientifica e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 18-05-24
Amigdala e sua covarianza nella schizofrenia; Note e Notizie 18-05-24
Stem olfattive come modello di disfunzioni nella schizofrenia, ecc.
[2] Note e
Notizie 26-10-24 La riduzione
di GluN ippocampale riproduce la schizofrenia.
[3] Si vedano: Note e Notizie
27-04-24 Espressione genetica corticale e rapporti con autismo e schizofrenia;
Note e Notizie 20-04-24 Determinanti genetici condivisi tra autismo e
schizofrenia.
[4] Note e Notizie 18-11-23 Reti alterate nella schizofrenia con sintomi negativi
persistenti.
[5] Note e Notizie 04-03-23 Il deficit di recettori H2 nella patogenesi della
schizofrenia.
[6] Sulla storia delle origini della
diagnosi di schizofrenia e sull’evoluzione del concetto in psicopatologia vi
sono numerosi riferimenti negli scritti pubblicati nelle “Note e Notizie”;
nella sezione “In Corso” sotto il titolo “La concezione dei disturbi mentali
nella storia” si può leggere una cronologia che, in brevissime sintesi
concettuali, elenca l’evoluzione che si è avuta nel concetto di malattia
mentale dalle prime tracce scritte, risalenti al 3400 a.C., fino ai giorni
nostri.
[7] Le nozioni storiche riportate di
seguito sono tratte da una relazione del nostro presidente; per le indicazioni
bibliografiche complete si veda in Silvano Arieti, Interpretazione
della Schizofrenia, in 2 voll., Feltrinelli, Milano 1978.
[8] Ai coniugi Vogt è intitolato un
istituto di ricerca nel quale è esposta un’interessante collezione di cervelli.
Oskar Vogt divenne celebre per lo studio del cervello di Lenin, nel quale
rilevò cellule piramidali giganti della corteccia di dimensioni notevolmente
superiori alla media.
[9] Sicuramente una parte non
trascurabile in questa evoluzione l’hanno avuta i numerosi istituti di ricerca
che hanno dedicato le proprie attività alla ricerca di correlati neurobiologici
dei disturbi mentali e le riviste, come Molecular Psychiatry, che hanno
consentito la diffusione della conoscenza di risultati che hanno modificato dei
punti di vista che resistevano da decenni.
[10] Note e Notizie 16-11-19
Trattamento cognitivo della schizofrenia. Si veda anche: Note e Notizie
07-12-19 Differenze in S100b tra persone affette da schizofrenia.
[11] Note e Notizie 17-03-21
Alterata funzione del talamo nella schizofrenia.
[12] Note e Notizie 03-07-21
Talamo anteriore nei difetti cognitivi di autismo e schizofrenia.
[13] Note e Notizie 27-02-21 Il
deficit cognitivo della schizofrenia è legato alla disbindina. Si veda
anche lo studio maggiore sui rapporti fra geni associati alla schizofrenia e
volume delle aree cerebrali sottocorticali: Note e Notizie 20-02-16 Influenze genetiche su schizofrenia e volume
sottocorticale. Per i rapporti con la morfologia si veda anche: Note e Notizie 21-11-15 Nella schizofrenia
la normale asimmetria emisferica è ridotta e alterata e Note e Notizie 14-02-15 Segni di schizofrenia che precedono i sintomi
per una diagnosi precoce.
[14] Note e Notizie 20-03-21 Patogenesi
della schizofrenia da splicing alternativo. Per questa patogenesi si
legga il testo integrale dell’articolo.
[15] Note e Notizie 16-02-19 Nella
schizofrenia la microglia riduce le sinapsi.
[16] È evidente la costruzione
deduttiva da dati e inferenze precedenti. Quando è stato proposto il modello,
il campo di studi della fisiopatologia della schizofrenia era ancora dominato
dall’ipotesi dell’iperfunzione dopaminergica, desunta dall’azione
anti-dopaminergica di fenotiazinici, butirrofenonici e altri neurolettici di
prima generazione efficaci nel ridurre deliri e allucinazioni degli
schizofrenici. Negli ultimi venti anni si è consolidata l’evidenza della
partecipazione di tutti i sistemi trasmettitoriali alla fisiopatologia, con una
prevalenza di interesse anche farmacologico per i sistemi neuronici a
segnalazione glutammatergica.
[17] Note e Notizie 20-03-21
Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo.